I differenti sostrati di danno morale e materiale
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 12 maggio 2018.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La scoperta della presenza di
danno tessutale all’origine del dolore fisico non attribuibile a lesioni
macroscopiche o a patologie diagnosticabili, fece fare un considerevole passo
in avanti allo studio delle basi fisiopatologiche della sofferenza umana. Allo
stesso tempo, l’esperienza del dolore per la perdita di una persona cara, per
un lutto simbolico, per una grave frustrazione, ha suggerito numerosi studi sulle
basi neurali della sofferenza morale, con la scoperta dell’interessamento di
alcune aree e vie in precedenza conosciute in rapporto alla nocicezione. Una
buona introduzione a quest’area di studi la troviamo in un saggio del nostro
presidente:
“Il dolore fisico come sintomo ha una
precisa connotazione nella semeiotica medica e da tempo è oggetto di specifiche
branche della ricerca di base, dello studio clinico e dell’intervento
terapeutico. La sua caratterizzazione è bene espressa dalla definizione
introdotta dall’International Association for the Study of Pain (IASP) ed adottata dalla comunità medica e
scientifica internazionale: “Una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale
associata a danno tessutale attuale o potenziale o descritta nei termini di
tale danno”[1]. La lesione,
come riferimento imprescindibile, spiega la centralità della conoscenza delle
basi molecolari e della neuroanatomia del sistema che consente la percezione
della sensazione algica[2]
ed ispira la pratica clinica[3].
Tuttavia è
difficile separare sempre nettamente il dolore fisico da quello morale o da ciò
che convenzionalmente in psichiatria si è chiamato dolore della psiche,
sia perché la componente protopatica di un danno organico può divenire così
pervasiva per la coscienza da determinare una condizione di generale sofferenza
e non più di percezione spiacevole localizzata, sia perché il disagio psichico
può produrre somatizzazioni dolorose[4]. Pertanto, questo studio
protratto nel tempo del vissuto di sofferenza connesso con la patologia cronica
da stress, pur essendo focalizzato
sugli aspetti psicologici del patire, include osservazioni su condizioni in cui
una componente organica può aver avuto un ruolo non secondario”[5].
Considerata, dunque,
l’esistenza di numerose condizioni in cui la sofferenza interessa allo stesso
tempo la mente e il corpo come una serie continua di possibilità, agli estremi
di questa gamma potremo riconoscere, da una parte il solo evento organico, come
un’accidentale martellata su un dito, e dall’altra il solo evento psichico,
come un dolore breve ed acuto per una cattiva notizia. Tali due prototipi si
suppone che abbiano una base neurale ben distinta, la prima costituita dalle
vie spino-talamiche e spino-tettali della nocicezione, la seconda dalle aree
cerebrali implicate nello stress e
nell’elaborazione di esperienze spiacevoli. Ma una precisa e dettagliata
descrizione e distinzione dei due circuiti cerebrali che mediano la risposta ai
due diversi tipi di danno non è stata ancora ottenuta, pertanto la ricerca in
questo campo continua.
Tsoi e colleghi hanno condotto uno studio mediante risonanza magnetica
funzionale (fMRI), sfruttando le conoscenze relative alle aree che si ritiene
siano implicate nel giudizio morale, per cercare di determinare se e quanto il
danno fisico e il danno morale siano elaborati in maniera simile, e quali
elementi distintivi delle due esperienze è possibile ricavare dall’attività
cerebrale.
(Tsoi L., et al. Neural substrates
for moral judgments of psychological versus physical harm. Social Cognitive and Affective Neuroscience - Epub ahead of print -
doi: 10.1093/scan/nsy029, 2018).
La provenienza
degli autori è la seguente: Department of Psychology, Boston College, Boston,
Massachusetts (USA); Center for Decision Research, University of Chicago,
Illinois (USA).
I ricercatori hanno studiato
sulle scansioni cerebrali della fMRI quanto i giudizi morali di danno fisico e
psicologico siano elaborati in maniera simile, focalizzando l’attenzione su regioni
cerebrali implicate nello stato mentale del ragionamento o nella “teoria della mente”[6],
processo cognitivo cruciale per il giudizio morale.
Le UA (univariate analyses) hanno rivelato elementi item-specifici che portano ad un
maggiore reclutamento di regioni della teoria della mente per il danno
psicologico rispetto al danno fisico, come era prevedibile. Le MVPA (multivariate pattern analyses) hanno
rivelato sensibilità alla distinzione fra elaborazione psicologica e fisica in
due regioni implicate nella teoria della mente: la giunzione temporoparietale
di destra e il precuneo.
Infine, i ricercatori non
hanno trovato significative differenze tra adulti neurotipici e adulti affetti
da disturbi dello spettro dell’autismo
(ASD, da autism spectrum disorder)
nell’attività cerebrale associata alla teoria della mente durante le
valutazioni morali di danno psicologico e fisico.
L’insieme dei dati emersi in
questo studio, dall’esame fMRI del cervello dei volontari, rivelano sensibilità
neurale alla distinzione tra danno psicologico e danno fisico. Una completa e
definita caratterizzazione dei due distinti sostrati neurali richiederà ancora
molti studi.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E
NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
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[1] C. R. Chapman, Pain, pp. 1-6
in Encyclopaedia of Cognitive Science, Nature Publishing Group, London
2003. La definizione fu introdotta per la prima volta nel 1979, ma
rimane tuttora quale standard di riferimento. Chapman,
introducendo la trattazione dell’argomento, propone una sua definizione che
ricorda il valore fisiologico di segnale della sensazione dolorifica: “Pain is an unpleasant
sensory and emotional bodily awareness that normally serves
a protective function by informing us of tissue damage” (C. R. Chapman, op. Cit., ibidem).
[2] Willis and Westlund,
Neuroanatomy of the pain system. Journal of Clinical Neurophysiology 14,
2-31, 1997; Casey and Bushnell (editors) Pain Imaging, IASP
Press, Seattle 2000.
[3] Loeser, Butler,
Chapman and Turk (editors), Bonica's Management of
Pain, 3rd edition, Williams and Wilkins, Philadelphia 2001.
[4] P. Wall, The science of suffering,
Columbia University Press, New York 2000.
[5] Giuseppe Perrella, L’esperienza del dolore. (versione condotta con aggiornamenti sulla XII), BM&L-Italia, Firenze 2005.
[6] Si dice convenzionalmente che si possiede una “teoria della mente” per indicare la presenza di una funzione mentale che consente di prevedere, comprendere o condividere lo stato mentale di un proprio simile.